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domenica 21 settembre 2014




Fonte: Presseurop Link


9 settembre 2014
LES ECHOS PARIGI


L'avvento di una nuova generazione di politici in Europa apre la strada a un rilancio del progetto comunitario. Un rilancio che passa per un massiccio programma di investimenti e che richiede un riorientamento delle spese.

Si ricomincia! E sia Parigi che Bruxelles scoprono i volti dei nuovi “maestri”, a capo dell’economia francese (Emmanuel Macron, 36 anni), della diplomazia europea (Federica Mogherini, 41 anni) o ancora del coordinamento economico e del piano di rilancio europeo di Jean-Claude Juncker: sarebbe nuovo il ruolo del finlandese Jyrki Katainen, 41 anni, come nuova la carica del francese Pierre Moscovici, 56 anni.
Per questa generazione era finalmente giunto il momento di prendere le redini della situazione, sulla falsariga dei britannici (David Cameron e George Osborne, 43 e 38 anni rispettivamente al momento delle nomine) e dell’italiano (Matteo Renzi, 38 anni). Poiché, in questi ambiti, c’è un bisogno urgente di idee e nuove energie per sostenere e incarnare quello che potrebbe essere un “New Deal francese ed europeo”.

Per la prima volta in venticinque anni, dalla caduta del muro di Berlino, si dispone di tutte le condizioni per un “New Deal”: riforme strutturali e rimessa in ordine dei conti pubblici da parte di ogni paese dell’eurozona. Anche Francia e Italia, oggi gli ultimi della classe europea, si sono alla fine decisi a farlo. In “cambio”, un ingente programma di investimenti — non di spese — nelle infrastrutture di sicurezza e nella crescita del continente europeo. Non manca nulla: gli strumenti della Bce, quelli della Banca europea per gli investimenti; e il considerevole bilancio dell'Unione europea (mille miliardi di euro in sette anni) che merita di essere utilizzato in modo diverso dai finanziamenti e dalle sovvenzioni a pioggia.
Quasi tutti i paesi possono esprimere la volontà politica necessaria per questa ambizione. Soltanto un alunno manca ancora all’appello, ed è il primo della classe europea: la Germania. Per motivi comprensibili, legati alla propria storia e alla demografia, la Germania sembra incapace di affrontare le sfide del momento, condannando senza vederlo né volerlo il resto dell’Europa alla disoccupazione e alla deflazione. E a rimanere dipendente dalla NATO, di cui si celebra il 65° anniversario, e la cui leadership americana ormai non fa più mistero del proprio disinteresse nei confronti dell’Europa e della propria tentazione isolazionista.
I segnali incoraggianti di una politica diversa si moltiplicano in Germania, da parte del presidente della Repubblica Joachim Gauck, del ministro della Difesa Ursula von der Leien, del ministro dell'economia Sigmar Gabriel o del ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier.
Spetta ora alla cancelliera Angela Merkel, al ministro delle finanze Wolfgang Schäuble e al presidente della Bundesbank Jens Weidmann fare un passo in avanti, fare la loro parte per questo “New Deal” europeo. Non farlo sarebbe una manna dal cielo per i sostenitori della dissoluzione dell'euro, del ritorno all’Europa di ieri: l’Europa del franco, del marco tedesco e della guerra — fredda o calda — ma questa volta senza l’appoggio degli Stati Uniti. “Nein, danke.” — no, grazie.
Traduzione di Maurizio Polli
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