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sabato 22 gennaio 2011

Bankitalia, per l'Italia crescita fiacca L'occupazione «non riparte» (Corriere.it)


Via Nazionale incita a compiere «riforme strutturali»

La Banca d'Italia
La Banca d'Italia
MILANO - Una crescita del Pil dello 0,9%& nel 2011 e dell'1,1% nel 2012, con uno sviluppo dell'economia «fiacco» che non consente una decisa crescita dell'occupazione. E' quanto si legge nell'ultimo bollettino economico trimestrale della Banca d'Italia, in cui gli economisti dell'istituto di emissione mettono anche l'accento sull'urgenza di rimuovere gli ostacoli strutturali che impediscono all'Italia un pieno inserimento nella ripresa globale. Nel Bollettino si legge che l'economia italiana dovrebbe essere cresciuta dell'1% lo scorso anno contro una stima del governo dell' 1,2%. Per l'anno in corso il ritmo di aumento dovrebbe fermarsi allo 0,9% (contro l'1,3% stimato dal governo). Lo scostamento più alto rispetto alle previsioni governative si registra sul 2012 quando al +2% inserito dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti nell'ultimo documento di finanza pubblica si contrappone, secondo gli economisti della banca centrale, un +1,1%.
OCCUPAZIONE - Secondo gli economisti di Bankitalia il grado di sottoutilizzo del mercato del lavoro (che comprende le ore di cassa integrazione e i cosiddetti «scoraggiati») è superiore di due punti al tasso di disoccupazione rilevato dall'Istat. In altre parole, se alla percentuale di disoccupati, che secondo l'Istat è stata pari all'8,7% nel novembre 2010, si sommassero i lavoratori in cig e coloro che non cercano lavoro perchè disperano di trovarlo, il livello di disoccupati sfiorerebbe l'11%. Inoltre nel terzo trimestre 2010 coloro che cercano lavoro sono scesi dell'1,7% rispetto al periodo precedente, un «calo che ha interessato soprattutto i giovani e le persone in cerca di prima occupazione». Leggi intero articolo

sabato 8 gennaio 2011

Il gap dei tassi nel mondo è «oro» per gli speculatori. Tutti i rischi del «carry trade»

Il Sole 24 Ore - Fonte: Link articolo

Banca centrale cinese alza i tassi al 5,81%, mentre la Fed americana non sa più cosa fare per tenere bassi non solo quelli ufficiali (già ora a zero) ma anche quelli di mercato. La Banca centrale del Brasile ha fissato i tassi addirittura al 10,75%, mentre quella europea li tiene all'1%. Il problema è che queste differenze, causate dalla ripresa economica a marce alterne, sono la manna per gli speculatori: permettono infatti di prendere a prestito denari dove i tassi sono bassi e di re-investirli dove i tassi sono alti. Insomma: consentono agli speculatori di indebitarsi in Europa o in America per investire dove i ritorni sono più elevati.


Per esempio nei paesi emergenti. Morale: più Cina e Brasile alzano i tassi, più la speculazione trova pane per i suoi denti. Questo giochetto, chiamato "carry trade", nel 2010 ha raggiunto dimensioni record. Ora è un po' in calo, perché i bilanci sono chiusi in vista della fine dell'anno, ma nel 2011 è destinato a riprendere. Ma i rischi non mancano: il «carry trade» è causa infatti del forte afflusso di capitali nei paesi emergenti (aumentati del 42% dal 2008 al 2010) e dei rincari sulle materie prime. I mercati, insomma, scherzano col fuoco: i guadagni (per pochi) di oggi possono diventare macigni (per molti) domani.
Il carry trade
Il giochetto è semplice: basta prendere in prestito soldi dove il denaro costa poco. Qualche anno fa bisognava andare in Giappone, mentre ora c'è letteralmente l'imbarazzo della scelta: Giappone, Usa e Gran Bretagna hanno tutti tassi intorno allo zero, mentre l'area euro è all'1%. Ultimamente gli investitori preferiscono indebitarsi in Europa, perché temono che – causa Irlanda e Portogallo – l'euro sia destinato a restare debole. I dati ufficiali, quelli elaborati dal Cftc, lo dimostrano: dato che indebitarsi in euro per comprare titoli in altre valute significa vendere la moneta unica europea, le posizioni "corte" (cioè in vendita) sull'euro sono aumentate tra novembre e dicembre. All'ultima rilevazione, quella del 17 dicembre, i contratti in vendita risultavano 10.304 più di quelli in acquisto per un controvalore di circa 1,3 miliardi. Ma fino a poco tempo fa facevano lo stesso sul dollaro o su altre valute.
Una volta presi in prestito, i denari vengono investiti dove si spera di guadagnare tanto. Le destinazioni sono dunque molteplici. Si parte dai paesi emergenti. La Cina – dove i tassi sono in rialzo da tempo – secondo le stime del Institute of International Finance ha attirato nel 2010 ben 158,9 miliardi di dollari di capitali privati: il 9,7% in più rispetto al 2008. I flussi su Borse e bond del Brasile sono addirittura quasi quadruplicati a 124 miliardi. E, in generale, i paesi emergenti hanno attirato 825 miliardi di dollari nel 2010: il 42% in più rispetto al 2008. I soldi vanno inoltre sulle materie prime. E, ovviamente, anche in borsa.
Le conseguenze
Ciò che oggi ingrassa i bilanci di banche e fondi, domani può però diventare un boomerang. I rischi del carry trade sono infatti tanti. Innanzitutto le banche e gli investitori, quando si indebitano a tassi bassi, lo fanno con un effetto leva elevato per aumentare i guadagni: questo significa che il giorno in cui i mercati dovessero girare, migliaia di investitori dovrebbero chiudere le loro speculazioni in fretta e furia per non moltiplicare le perdite. E questo avrebbe pesanti conseguenze sia sui bilanci bancari, sia sui paesi "oggetto" di carry trade. Per questo il presidente della Fed Ben Bernanke da mesi chiede alle banche di ridurre il carry trade.
Ma i rischi sono anche altri. I flussi di capitali nei paesi emergenti stanno creando problemi – in maniera diversa – alle loro economie. Per questo alcuni stati, tra cui proprio Cina e Brasile, hanno deciso di alzare le barriere sui capitali esteri in ingresso. In questo modo cercano di arginare la corsa degli investitori esteri, che – se eccessiva – può far salire le valute e creare squilibri economici. Si arriva così al paradosso di paesi, come la Cina, che da un lato alzano i tassi d'interesse e dall'altro devono cercare escamotage per frenare l'afflusso di capitali in entrata

Piazza Affari, cosa accadra' nel 2011

Mia Economia


Immagine a corredo dell'articolo - Piazza Affari, cosa accadra' nel 2011 - miaeconomia.leonardo.it (31/12/2010)

L’ultima seduta di Piazza Affari, che si e’ chiusa con un ribasso dell’1,4%, e’ la fotografia del 2010 della Borsa di Milano. E’ stato un anno deludente per il listino italiano, che ha terminato con una perdita del 13,5% circa, penalizzato dalla sovrabbondanza dei titoli bancari presenti nella nostra Borsa e che e’ stato tra i settori maggiormente danneggiati dalle crisi finanziarie di Grecia in primavera e di Irlanda in autunno. Intesa Sanpaolo in un anno ha perso il 35%, Unicredit il 33%, Banco Popolare il 39% e Popolare di Milano oltre il 47%, solo per citare alcune delle maggiori banche in Italia.
Ma ci sono stati anche titoli tra le blue chip che hanno regalato rialzi quasi a tre cifre. E’ il caso del titolo Exor che in un anno ha guadagnato oltre l’80% sulla spinta dell’evoluzione societaria di Fiat che da gennaio si separera’ in due entita’, Fiat Industrial e Fiat Automotive. Da queste colonne avevamo attirato l’attenzione dei nostri lettori sul titolo, con una analisi, a marzo di quest’anno. Allora valeva 12 euro, ha chiuso l’anno a 24,6 euro. Chi avesse acquistato allora avrebbe guadagnato il 100%
Per Piazza Affari il prossimo anno, almeno nei primi mesi, non si discostera’ molto da quelli appena passati. Da un punto di vista grafico e’ chiarissimo come da sei mesi l’indice maggiore di Milano sia ingabbiato in un rettangolo compreso tra 19mila e 21.500 punti. Finche i prezzi non usciranno da questa fascia non ci saranno movimenti di rilievo ne’ in rialzo ne’ in ribasso. Analizzando i prezzi con un orizzonte temporale ancora piu’ breve si nota come da un mese il Mib si muova tra 20mila e 21mila punti. Anche in questo caso segnali di forza o di debolezza dell’indice arriveranno solo dalla violazione al rialzo o al ribasso di questi valori



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