Le reazioni in Germania dopo la nota con cui Palazzo Chigi replica alla decisione dell'agenzia in merito al debito italiano. "A Berlusconi mancano giudizio e ragione". "Un duro colpo al suo governo". "La sua reazione è semplicemente quella di inveire"
BERLINO - Come Standard&Poor sottolinea 1, il problema dell'Italia è soprattutto politico, ma Berlusconi ancora una volta sembra non saper far nulla di meglio che inveire. Ecco in sostanza il giudizio a caldo dei massimi media tedeschi, appena uscito nelle loro edizioni online a commento del declassamento dell'Italia da parte della grande agenzia di rating internazionale e soprattutto delle reazioni del presidente del Consiglio. Un giudizio sparato in apertura o tra i primi titoli dei siti, che unisce trasversalmente media conservatori, liberal e progressisti, testate filogovernative o critiche verso l'esecutivo. E che fornisce una conferma drammatica del pessimo rating politico di Berlusconi agli occhi dell'establishment della prima potenza europea.
Leggi Articolo
La finanza per non finanziari. La finanza di tutti i giorni, per capire da dove veniamo, dove stiamo andando..insomma piu' finanza per tutti
martedì 20 settembre 2011
Debito, S&P boccia (a sorpresa) l'Italia (Corriere della Sera)
MILANO - L'agenzia internazionale di rating Standard & Poor's ha annunciato, a sorpresa, la decisione di tagliare di un gradino, un «notch» in gergo, il voto sul debito pubblico italiano: il «rating» indica in sintesi la capacità di ripagare il debito pubblico da parte di un Paese. Standard and Poor's ha declassato il debito sovrano a breve e a lungo termine dell'Italia portandolo a «A» da «A+» e a «A-1» dal precedente «A-1+». Le prospettive future per l'Italia, spiega l'agenzia americana, sono per giunta «negative».
LEGGI ARTICOLO
lunedì 19 settembre 2011
La ricetta dell’Economist per la crisi
16 settembre 2011
Presseurop
Presseurop
"Come salvare l'euro". In un articolo lungo e dettagliato, l'Economist spiega che "l'unico modo per arrestare la spirale della crisi è un atto estremo di volontà collettiva da parte dei governi dell'eurozona, per costruire una barriera finanziaria in grado di evitare altri danni e porre le basi di una più solida governance dell'euro".
Secondo il settimanale londinese è necessario "agire su quattro fronti. Primo, bisogna mettere in chiaro quali paesi europei sono ritenuti privi di liquidità e quali insolventi, per concedere un appoggio illimitato agli stati solvibili e ristrutturare il debito di quelli che non potranno mai ripagarlo. Secondo, bisogna proteggere le banche e assicurarsi che possano sopportare un default statale. Terzo, bisogna fare in modo che la politica macroeconomica dell'eurozona abbandoni l'ossessione dei tagli al bilancio e si concentri sulla crescita. Infine bisogna cominciare a costruire un nuovo sistema in grado di evitare che una crisi del genere possa ripresentarsi in futuro.
Leggi Articolo
Secondo il settimanale londinese è necessario "agire su quattro fronti. Primo, bisogna mettere in chiaro quali paesi europei sono ritenuti privi di liquidità e quali insolventi, per concedere un appoggio illimitato agli stati solvibili e ristrutturare il debito di quelli che non potranno mai ripagarlo. Secondo, bisogna proteggere le banche e assicurarsi che possano sopportare un default statale. Terzo, bisogna fare in modo che la politica macroeconomica dell'eurozona abbandoni l'ossessione dei tagli al bilancio e si concentri sulla crescita. Infine bisogna cominciare a costruire un nuovo sistema in grado di evitare che una crisi del genere possa ripresentarsi in futuro.
Leggi Articolo
mercoledì 14 settembre 2011
L’elefante Italia e il suo baldacchino (da CHICAGO BLOG)
di Ugo Arrigo
Prima della serie di manovre estive di finanza pubblica la nostra economia era nei guai, dopo lo è molto di più:
A seguito della crisi di fiducia sul debito pubblico il governo si è impegnato a conseguire il pareggio di bilancio nel 2013, colmando in un biennio circa quattro punti di Pil di disavanzo pubblico;
L’operazione si verifica quasi integralmente attraverso aumenti di tasse.
Conteggiando solo gli incrementi palesi delle imposte (e lasciando fuori gli aumenti dei tributi locali che saranno attuati per compensare i tagli nei trasferimenti dal governo centrale) la pressione fiscale, calcolata come rapporto tra il gettito atteso e il Pil, aumenterebbe di due punti percentuali.
Calcolata invece come rapporto tra il gettito atteso e il solo Pil emerso, che il Centro Studi Confindustria stima nell’80% del Pil totale, aumenterebbe di due punti percentuali e mezzo passando dal 53% al 55,5%.
Nessun paese al mondo ha una pressione fiscale così elevata, neppure i paesi scandinavi caratterizzati dai sistemi di welfare più estesi.
Le entrate totali del settore pubblico arriverebbero, secondo le stime di Tito Boeri, al 49% del Pil nel 2014. Se rapportate al solo Pil emerso arriverebbero invece al 61% (sempre ipotizzando, irrealisticamente, che gli enti territoriali facciano fronte ai tagli dal governo centrale senza alcun incremento dei tributi locali).
Non servono grandi riflessioni aggiuntive per dimostrare che si sta andando nella direzione opposta a quella corretta. Il nostro paese era all’ottavo posto per pressione fiscale tra i paesi dell’attuale UE all’inizio del decennio 2000. Da allora tutti gli altri sette la hanno ridotta, alcuni anche in misura consistente, e cinque di essi sono scesi sotto quella italiana (con le eccezioni di Danimarca e Svezia). Questo processo si è ovviamente accentuato nel periodo della recessione. L’Italia è invece l’unico paese ad aver accresciuto la pressione fiscale, sia prima che durante la recessione (e ora, grazie alla serie estiva di manovre, anche dopo).
da CHICAGO BLOG
di Ugo Arrigo
Vai articolo
Prima della serie di manovre estive di finanza pubblica la nostra economia era nei guai, dopo lo è molto di più:
A seguito della crisi di fiducia sul debito pubblico il governo si è impegnato a conseguire il pareggio di bilancio nel 2013, colmando in un biennio circa quattro punti di Pil di disavanzo pubblico;
L’operazione si verifica quasi integralmente attraverso aumenti di tasse.
Conteggiando solo gli incrementi palesi delle imposte (e lasciando fuori gli aumenti dei tributi locali che saranno attuati per compensare i tagli nei trasferimenti dal governo centrale) la pressione fiscale, calcolata come rapporto tra il gettito atteso e il Pil, aumenterebbe di due punti percentuali.
Calcolata invece come rapporto tra il gettito atteso e il solo Pil emerso, che il Centro Studi Confindustria stima nell’80% del Pil totale, aumenterebbe di due punti percentuali e mezzo passando dal 53% al 55,5%.
Nessun paese al mondo ha una pressione fiscale così elevata, neppure i paesi scandinavi caratterizzati dai sistemi di welfare più estesi.
Le entrate totali del settore pubblico arriverebbero, secondo le stime di Tito Boeri, al 49% del Pil nel 2014. Se rapportate al solo Pil emerso arriverebbero invece al 61% (sempre ipotizzando, irrealisticamente, che gli enti territoriali facciano fronte ai tagli dal governo centrale senza alcun incremento dei tributi locali).
Non servono grandi riflessioni aggiuntive per dimostrare che si sta andando nella direzione opposta a quella corretta. Il nostro paese era all’ottavo posto per pressione fiscale tra i paesi dell’attuale UE all’inizio del decennio 2000. Da allora tutti gli altri sette la hanno ridotta, alcuni anche in misura consistente, e cinque di essi sono scesi sotto quella italiana (con le eccezioni di Danimarca e Svezia). Questo processo si è ovviamente accentuato nel periodo della recessione. L’Italia è invece l’unico paese ad aver accresciuto la pressione fiscale, sia prima che durante la recessione (e ora, grazie alla serie estiva di manovre, anche dopo).
da CHICAGO BLOG
di Ugo Arrigo
Vai articolo
Iscriviti a:
Post (Atom)